De Chirico oltre il quadro.
Manichini e miti nella scultura metafisica
Sospesi nello spazio e nel tempo, i misteriosi personaggi che hanno reso tanto celebre la Metafisica di Giorgio de Chirico sono stati proposti innumerevoli volte, non solo con la grafica e la pittura ma anche nella versione tridimensionale, in una produzione scultorea di cui probabilmente il grande pubblico ancora non conosce la particolare suggestione.
Meno nota della produzione pittorica, ma certamente non meno evocativa, la scultura del grande maestro offre infatti l’occasione per approfondire alcuni dei soggetti che hanno dominato la sua poetica, tra i quali spiccano l’enigmatica presenza dei manichini e la persistenza del mito e della memoria dell’antico.
L’incontro di De Chirico con la scultura avvenne solo in età matura quando, intorno al 1940, il pittore iniziò a realizzare alcune piccole terrecotte dipinte in cui riprendeva i temi dei suoi dipinti del periodo metafisico. Più tardi l’artista decise di far tradurre quelle fragili opere in più durevoli esemplari in bronzo, realizzando piccole tirature di diversi formati.
Il corpus della sua ricerca plastica è successivamente stato riproposto dalla Fondazione Isa e Giorgio de Chirico di Roma, che ne ha commissionato la fusione in una nuova edizione limitata, in occasione del centenario della nascita dell’artista celebrato nel 1988.
Per presentare al pubblico un importante nucleo composto da 19 di queste sculture, il museo propone un allestimento particolare, che intende mettere in relazione le rappresentazioni bidimensionali e la loro restituzione a tutto tondo. Tra le opere esposte ricorrono alcune figure chiave dell’immaginario dechirichiano, come gli Archeologi, i Trovatori, i Manichini Coloniali, Le Muse, i Cavalli, temi dei quali vengono presentate diverse varianti, offrendo una delle più significative ricognizioni sulla scultura metafisica mai allestite in Italia.
I bronzi, esposti insieme a un gesso preparatorio, dipinti, disegni, grafiche e a due rare edizioni illustrate dell’Apocalisse di Giovanni, sono proposti al pubblico in un allestimento corale, reso particolarmente intenso da un’installazione di pannelli luminosi, provenienti dal Museo Documentario della Metafisica di Ferrara, pionieristico museo “virtuale” inaugurato nei primi anni ’80 e oggi non più esistente, ideato dall’allora direttore del Palazzo dei Diamanti Franco Farina.
E se Ferrara è rimasta per antonomasia la città metafisica, un sottile disegno del destino sembra oggi attribuire anche a Pieve di Cento un piccolo ruolo nella narrazione di questa storia, non solo per la presenza di questa importante raccolta, ma anche perché, come viene ricordato in mostra, Carlo Carrà vi trascorse alcuni mesi all’inizio della sua esperienza militare, prima di essere trasferito a Ferrara.