Fausto Melotti

Capolavoro della scultura di Fausto Melotti (Rovereto 1901 – Milano 1986), l’opera da lui intitolata Alberello propone un tema classico nella storia dell’arte astratta. Già al centro delle note sperimentazioni di Piet Mondrian, esso ricorre, infatti, anche nella ricerca di Melotti che, a seguito della sua adesione all’astrazione, lo declina in diversi modi fin dagli anni Trenta. Nonostante la sua dichiarata avversione per la rappresentazione naturalistica, nel corso della sua ricerca egli propone in numerose occasioni strutture verticali identificabili come alberi. Trasformando il tema originario in composizioni ritmiche e modulari, in linea con la sua appassionata elaborazione di rapporti musicali e proporzioni matematiche, lo scultore si allontana radicalmente dalla descrizione e propone un’interpretazione razionale e controllata.

In questo contesto, particolarmente singolare è la genesi di quelli che egli chiamerà teneramente “alberelli”, dei quali quello in collezione è forse l’esemplare più importante per dimensione e eleganza formale. Il titolo, suona come l’esaltazione del tema della fragilità, sentimento che trova il suo radicamento nella riflessione dell’artista sulla transitorietà della materia. La critica alla centralità del dato concreto nell’opera d’arte, che ha pervaso tutta la poetica dello scultore, e lo ha infine orientato verso la dematerializzazione dell’opera, spinge la rappresentazione sulla soglia del pensiero puro. La genesi degli “alberelli” si colloca nel 1965, in un momento preciso e centrale della riflessione di Melotti sulla scultura, cioè quando, ormai giunto alla maturità, esplora una modalità espressiva molto personale.
Alla metà degli anni Sessanta, infatti, un contesto socio-culturale finalmente pronto a accogliere nuove sperimentazioni aniconiche gli consente di arrivare a una svolta.

È il momento in cui l’artista riprende con decisione il percorso sull’astrazione, già avviato nella pittura e nelle opere plastiche e ceramiche della giovinezza, introducendo l’uso di lamine, catenine, maglie e fili in metallo. La sua nuova tecnica – fatta di scheletri filiformi, saldature delicate, lamierine ritagliate – gli consente di tracciare ritmi lineari, sospesi su strutture aeree che disegnano lo spazio più che occuparlo. Questa nuova interpretazione, in cui vuoti e pieni si alternano come note e silenzi su una partitura sperimentale, si allontana in maniera radicale dalla concezione monumentale di scultura, per introdurre un’inedita fragilità.

LA BIOGRAFIA


Fausto Melotti nasce a Rovereto (Trento) l’8 giugno 1901. Allo scoppio della Prima Guerra mondiale si trasferisce a Firenze, dove porta a termine gli studi liceali e vede le opere di Giotto e dei grandi del Rinascimento. Al termine del conflitto, tornato nella città natale, frequenta Fortunato Depero.Nel 1918 si iscrive alla facoltà di Fisica e Matematica dell’Università di Pisa, corso di studi che proseguirà al Politecnico di Milano, dove nel 1924 si laurea in ingegneria elettrotecnica. In questi anni consegue il diploma di pianoforte e intraprende lo studio della scultura a Torino, presso lo scultore Pietro Canonica. Nel 1928 si iscrive all’Accademia di Brera di Milano, dove è allievo di Adolfo Wildt, insieme a Lucio Fontana, con il quale stringe un lungo sodalizio. Nel 1932 accetta l’incarico da parte della Scuola artigianale di Cantù per tenere un corso di plastica moderna e si dedica con interesse e sensibilità all’insegnamento, come attestano i suoi scritti dell’epoca. Nel 1935 suo cugino Carlo Belli, pubblica Kn. Questo testo, che viene definito da Kandinskij “ il Vangelo dell’arte astratta” costituisce l’elaborazione teorica delle sperimentazioni degli astrattisti italiani che insieme a Belli e a Melotti, si confrontavano al Bar Craya di Milano. Nasce in questo contesto l’idea di un’arte fondata sulle regole della matematica, della proporzione, della geometria, ispirata alla modularità classica e rinascimentale e al distacco dall’espressività. Nel 1935 l’artista aderisce al movimento “ Abstraction-Création”, che era stato fondato a Parigi nel 1931 da Van Doesburg, Seuphor, Vantongerloo per promuovere e diffondere l’opera degli artisti non figurativi. Nello stesso anno, insieme al gruppo degli astrattisti milanesi, partecipa alla prima mostra collettiva di arte astratta nello studio di Casorati e Paulucci a Torino. Espone anche a Milano, allestendo una personale alla Galleria del Milione, dove presenta sculture ispirate a una sorta di “astrazione musicale”, in linea con la ricerca di Kandinskij e Klee. In questa occasione, nel testo in catalogo, definisce il suo lavoro “angelico geometrico”, in quanto aspira ad un’astrazione pura e integrale rispetto alla natura.
La sua prima esposizione non ha riscontro significativo in Italia, ma riceve attenzione in Francia, grazie al collezionista e mercante Léonce Rosenberg, figura di punta nella promozione dell’arte d’avanguardia. L’interesse per la sua ricerca artistica continua soprattutto all’estero e nel 1937 consegue il Premio internazionale La Sarraz in Svizzera.
A Milano, in occasione della VI Triennale del 1936, crea per la Sala della Coerenza disegnata dallo studio B.B.P.R.(Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers) un’opera-chiave, la Costante Uomo, un’installazione ambientale in cui dodici sculture antropomorfe scandiscono ritmicamente lo spazio. In quest’opera la semplificazione della forma del corpo umano, che ricorda una Kore greca, e la restituzione ovoidale del modulo geometrico della testa, rigorosamente senza volto, richiamano i manichini metafisici di Giorgio de Chirico. Dal 1941 al 1943 vive a Roma, dove partecipa al progetto di Figini e Pollini per il Palazzo delle Forze armate e nel frattempo realizza disegni, dipinti e compone poesie che con il titolo Il triste Minotauro saranno pubblicate dal grande editore Giovanni Scheiwiller nel 1944. La scrittura di Melotti, lirica, ironica, essenziale e spesso autobiografica, accompagnerà a lungo la sua ricerca visiva. Nel dopoguerra si dedica in particolare alla ceramica, adottando una tecnica raffinatissima, capace di restituire il passaggio dal dramma postbellico a una nuova leggerezza. I suoi “teatrini” restituiscono l’incanto di narrazioni sfuggenti e astratta, eppure suggestive di figure e storie. L’alta qualità del suo lavoro gli è riconosciuta dai numerosi premi ricevuti tra i quali il Gran Premio della Triennale nel 1951, la medaglia d’oro di Praga e quella di Monaco di Baviera. Si approfondisce in questo periodo un profondo legame professionale e umano con Giò Ponti, con il quale collabora con due grandi progetti decorativi in ceramica per la Villa Planchart a Caracas (1956) e la Villa Nemazee a Teheran (1960). Alla metà degli anni ’60 la scultura di Melotti ha un’evoluzione netta verso l’uso dei metalli. Mentre per certi aspetti la sua opera si smaterializza, abbandonando i volumi e cercando una rarefatta dialettica di linee e vuoto, sul piano iconografico diviene progressivamente più allusiva, legata a un’astrazione metafisica che non rinuncia a richiami onirici e figurativi. Nel 1967, quando è ormai ultrasessantenne, la sua carriera arriva a una svolta. Espone alla Galleria Toninelli di Milano numerose sculture di nuova ispirazione, il cui successo determina immediatamente una serie di mostre in Italia e all’estero. L’intensificarsi delle mostre lo porterà rapidamente al successo e permetterà al pubblico di conoscere la sua poliedrica attività: dalle sculture ai bassorilievi, dai teatrini alle opere su carta, alle ceramiche.
Ormai riconosciuto tra i grandi innovatori dell’arte europea del secondo dopoguerra, Melotti è protagonista di importanti esposizioni nelle principali città internazionali, come Roma, Venezia, New York, Londra, Zurigo, Francoforte e Parigi. L’artista muore a Milano il 22 giugno 1986 e nello stesso mese la 42° Biennale di Arti Visive di Venezia gli conferisce il Leone d’oro alla memoria.